Il futuro dell’auto elettrica

Venerdì, 05 Febbraio 2016,
Un inverno anomalo, temperature largamente al di sopra della media, precipitazioni assenti o quasi, l'aria che ristagna. É il regno dello smog, l’infernale alleanza tra fumo e nebbia che inquina le città  e insidia l’apparato respiratorio di una popolazione esasperata e indifesa. Le emissioni di gas delle auto sono una concausa non indifferente del fenomeno, anche se non l’unica. Non c’è da meravigliarsi, pertanto, se molti guardano alle auto elettriche come l’alternativa ideale agli attuali 37 milioni di veicoli che circolano in Italia. La soluzione, ineccepibile in teoria, si scontra nella realtà con numerose difficoltà di ordine tecnologico ed economico. La produzione di energia elettrica per l’autotrazione a bordo dei veicoli segue principalmente due strade: l’adozione di batterie chimiche e le celle a combustibile. I primi convenzionali, pesantissimi accumulatori con piombo e acido solforico sono ormai improponibili: presentano infatti problemi insormontabili di autonomia, ricarica, durata e smaltimento. Si tratta di prodotti altamente inquinanti. Si è pensato quindi alle batterie a ioni di litio, una tecnologia largamente in uso nei telefoni cellulari e computer portatili in grado di garantire elevate autonomie e peso contenuto. In questo caso, però, il miglioramento è dovuto al progresso della microelettronica che ha permesso di costruire circuiti con limitato assorbimento elettrico. In realtà la capacità degli accumulatori non è migliorata di molto. L’attenzione dei progettisti si è quindi rivolta alle celle a combustibile, le cui prime applicazioni  risalgono alle missioni spaziali. Si tratta di generatori chimici di energia elettrica che sfruttano il principio inverso a quello dell’elettrolisi, in cui la corrente elettrica scinde le molecole di acqua in idrogeno e ossigeno. Nelle “fuel cell”, al contrario, questi due gas si combinano l’uno con l’altro, producendo energia elettrica e liberando acqua. L’utilizzo dell’idrogeno, però, presenta formidabili problemi di produzione, immagazzinamento, distribuzione e sicurezza. Per ottenere questo gas che non esiste libero in natura occorre un dispendio di energia superiore a quanta se ne ricava utilizzandolo. Per di più la sua produzione si realizza mediante l’utilizzo di combustibili fossili, a loro volta inquinanti. Altro problema è il confinamento dell’idrogeno che va immagazzinato a pressioni elevatissime (oltre 300 bar). I prototipi di auto realizzati con quest’ultima tecnologia  funzionano, sono efficienti ma costano un’esagerazione. Ugualmente costose sono le auto utilizzanti le celle a combustione. I costruttori sono pienamente consapevoli del fatto che non si possa cambiare dall’oggi al domani un modello economico planetario basato sull’estrazione, la vendita, la trasformazione di idrocarburi e puntano a un cambiamento molto graduale. Occorre, peraltro, osservare che l’ostacolo dei costi dei motori elettrici non è insormontabile nell’ottica di una economia di scala. La produzione in quantità industriale delle celle a combustione, infatti, ne farebbe certamente diminuire il prezzo fino a livelli concorrenziali con i motori tradizionali. I tempi della rivoluzione sono, per quanto esposto, comprensibilmente lunghi e le case stimano in 20-30 anni la commercializzazione di massa delle nuove tecnologie. Una realtà confortante, comunque, è già disponibile oggi. Parliamo delle vetture cosiddette ibride, spinte cioè da gruppi motopropulsori  che abbinano un motore elettrico con uno a combustione interna. Il primo per la marcia in città, con i conseguenti ed evidenti benefici sull’inquinamento metropolitano, il secondo quando si richiedono prestazioni più elevate come in autostrada. I due motori possono lavorare in tandem per offrire più spunto. Dopo il Giappone e gli USA anche i costruttori europei si sono accorti che l’ibrido è un’architettura probabilmente vincente e attualmente sostenibile: bassi consumi, impatto ambientale limitato e addirittura nullo durante la marcia completamente elettrica. Il prezzo d’acquisto è indubbiamente ancora elevato ma si confida, per un futuro abbastanza prossimo, nella citata economia di scala.

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